giovedì 21 febbraio 2008

Il garghet

Il “garghet” delle rane non si sente in questa fredda sera di febbraio. Il cielo limpido lascia spazio soltanto a stelle rosse, che altro non sono che i punti luminosi delle gru, monumenti al continuo volersi avvicinare alle stelle vere da parte dell’uomo. Questa è la terra di mezzo, mi dicono, dove i milanesi di ieri venivano a ballare, la sera, e a divertirsi. Ma anche a pensare e riflettere davanti a un bicchiere di vino rosso, pratico contributo all’introspezione. Stasera è lo stesso: solo la campagna è stata smussata da quegli enormi palazzi. Rozzano da una parte, Milano dall’altra. Terra di mezzo appunto. A Nord la periferia di una città sconfinata. A sud i confini di un’altra periferia. Un’enclave che sembra sospesa nella brezza di questa sera di febbraio. L’antica osteria ci accoglie come i viandanti di un passato qui mai dimenticato.

Le note del pianoforte traboccano dalla sala. La carta delle portate è scritta a mano, in milanese. Non dover leggere la traduzione tra parentesi mi suggerisce l’orgoglio di appartenere a questa terra di mezzo. E anche se un grazie al cameriere tradisce il mio accento orobico, non posso che crogiolarmi nel sapere che il mio primo respiro è stato di quest’aria milanese, con quel pizzico dell’umidità dell’Adda, nemmeno tanto distante da qui. Mi mancava questa cotoletta alla milanese che straborda dal piatto. Croccante e delicata al punto giusto, come il riflesso della candela negli occhi di Laura, unico spiraglio di cielo tra questi caldi colori di intimità.

martedì 5 febbraio 2008

Quando la notte finisce

Erano anni che non mi alzavo così presto. Il mio affascinante lavoro mi ha spostato il fuso orario molto in avanti: per me la giornata inizia più tardi e finisce ancora più tardi. Così non sapevo che alle 6 della mattina dalle persiane penetrano soltanto i fiochi raggi giallognoli del lampioni della strada. Di solito, quando mi sveglio da quelle stesse fessure entra già il sole, desideroso di accarezzare anche me e di invitarmi ad andare là fuori, dove un'altra giornata mi sta aspettando. Aprire gli occhi ed essere accolto da quell'anomala semi-oscurità mi ha un po' turbato. Ma in senso positivo. Zittito il suono metallico della sveglia, mi siedo sul letto e mi fermo ad ascoltare. Lentamente vengo avvolto dal ritmo incostante del ticchettio della pioggia che picchia con delicatezza le tegole sopra di me. Potrei farmi cullare da questa naturale musicalità per tanto tempo. La mia mente viaggia alle tante volte in cui con Laura abbiamo sentito quella stessa melodia, noi soli abbracciati e con i nostri profumi mescolati in un unico sentimento.

Venti minuti più tardi esco in strada. Le piastrelle in cemento davanti all'ingresso riflettono i pochi chiarori di questi ultimi momenti della notte. Non è la stessa notte che sono abituato a vedere. Non è la notte stanca della sera, quella che ha sulle spalle nere la fatica, i rancori, le delusioni, le amarezze di un'intera giornata. Questa è la notte che sta morendo per dare la vita a una nuova giornata. Era tanto che non vedevo Pontirolo avvolto dagli ultimi istanti della notte. La nebbia regala una tenue sfumatura agli edifici tutt'intorno, rendendoli quasi surreali. Qualche finestra è già accesa. Le gocce di pioggia si scontrano con la durezza del marciapiede e cercano di modificare i riflessi delle luci. Ma sono solo istanti e ti accorgi presto che è tutta un'illusione.

La luce più alta è quella del campanile. L'orologio ha una lampadina fioca che illumina a malapena il centro del quadrante. Poco più su, sembra quasi brillare la cella campanaria. La sagoma delle campane ricorda quella delle vedette. Tra poco la notte è finita e c'è il cambio della guardia. Mi lascio bagnare i capelli dalla pioggia e raggiungo la Bravo. Non fa freddo adesso. Un lampeggiante arancio si riflette ruotando contro le case e la nebbia. È un camion della nettezza urbana. Per loro il lavoro è già quasi finito. Si fermano proprio dietro di me: scende un omino e con un gesto che dimostra abitudine afferra alcuni sacchi e li butta nel camion, dove gli scarti del giorno prima nella vita dei miei vicini vengono pressati in pochi istanti e diventano una massa concentrata e amalgamata. Fosse giorno, forse, suonerei il clackson. Laura e Foppolo mi aspettano, non posso fare tardi. Ma così presto anche il tempo sembra scandire più lento e poco dopo mi ritrovo già in viaggio verso Treviglio. La nebbia si sta schiarendo. Questi sono i raggi del sole.