domenica 22 gennaio 2006

Il Grande silenzio fa molto rumore

Silenzio. La gente in Germania fa la fila al cinema per vedere "Die Grosse Stille", quasi tre ore di ingombrante silenzio che sprofondano lo spettatore in un vasto regno di quiete: cullate dai ritmi millenari della vita di una clausura, le nostre ansie di devoti della Fretta lentamente si placano. Nei primi 20 minuti non si ode voce umana. Dei 160 che compongono il documentario, il "parlato" ne occuperà sì e no 2 o 3. Il regista, Philip Gröning, per girarlo ha dovuto immergersi cinque mesi nel silenzio di un monastero fra i più sobri e rigorosi, che affonda le sue radici nell'Europa senza confini medievale: ha atteso 16 anni il sì del Priore della Grande Chartreuse, vicino a Grenoble. Poi, nel '99, ormai quasi inaspettato, il permesso è arrivato: "Ora siamo pronti" gli ha detto semplicemente il monaco. Ad alcune condizioni però: che entrasse solo lui nella clausura, che se ne stesse zitto come tutti gli altri, non facesse interviste, non portasse con sé luci artificiali e alla colonna sonora non aggiungesse altra musica che il gregoriano che esce dalle labbra dei certosini.
Questo silenzio oggi è un boato: decine di migliaia di persone sotto Natale sono andate a vedere questo film, spingendolo in cima alle classifiche. Presentato a settembre a Venezia, sottotraccia nel chiasso dei media, in questi giorni sta sbarcando in America, al Sundance Film Festival, e verrà distribuito anche in Italia, da Metacinema. Pure la critica lo ha accolto molto bene: "Un documentario affascinante e mistico. Un lavoro di grande originalità che va al di là del linguaggio cinematografico e trasforma queste silenziose immagini in assolute presenze" (Sentieri selvaggi). "Grazie a una splendida fotografia, come scolpita e trasfigurata. Gröning riesce a far percepire come tangibile la dimensione creaturale, che misura ogni gesto sull'eternità" (Cinefestival). "Certamente uno dei film da vedere quest'anno" (The Globe and Mail), "mai voyeuristico" (Der Spiegel). "Non ho mai visto un film del genere in tutti gli anni che faccio questo lavoro" (Toronto Sun).
Philip Gröning, 47 anni, non è un fan della vita religiosa: i suoi ultimi due film li aveva dedicati a un commando di terroristi e alla storia d'amore tra una prostituta e un disoccupato. Per "Die Grosse Stille" ha dovuto fare per cinque mesi la vita del monaco: sveglia nel cuore nella notte per pregare, canti, messa tutti i giorni, cura dell'orto, barbiere e sartoria, lavoro di ciabattino. Poco tempo libero per girare. "È un mondo molto concreto", dice. "Una fetta di mela, pasti consumati da soli nelle celle, un campo arato… Tutte e due le cose sono molto presenti alla Chartreuse: il mondo concreto, e il congedarsi da esso". Eppure in un luogo "così radicalmente al di là del regno del linguaggio" la difficoltà più grande che ha incontrato, ammette, è stato il rumore che lui stesso provocava, non essendo abituato non solo a tacere ma a muoversi in silenzio come i figli di san Bruno: disturbava il nitido sonoro del film.
Man mano Gröning si è accorto che quello stava diventando non un documentario sulla clausura ma "un film sul vedere le cose e udire le cose con esattezza". Utile perché ciascuno metta a fuoco se stesso, non la strana vita che hanno scelto per sé i certosini. Un film "immerso nel silenzio, ma che non è un film silente". Se la gente corre al cinema in massa, e non si stanca di veder scorrere le sue inquadrature placide e potenti come acqua di fiume è perché - suggerisce il regista - la macchina è riuscita misteriosamente a "mostrare qualcosa di ciò che i monaci stessi vedono". Le monache del Terz'ordine francescano di Montello ce ne parlano, in forma anonima, come piace a loro. Aprendo per un attimo quel silenzio.
Carlo Dignola

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